E a proposito degli incendi dolosi provocati dai soliti ignoti per fare soldi, segnalo un breve ma denso e bellissimo articolo dello storico Luciano Canfora apparso oggi sul Corriere della Sera nell'ambito di un più ampio servizio sugli incendi in Grecia.
Canfora in poche righe evidenzia come gli incendi organizzati dall'intreccio globalizzato di mafia-finanza-speculazione stiano riuscendo a cancellare in un batter d'occhio patrimoni storici che neppure duemila anni di guerre erano riusciti a distruggere
Ecco l'articolo:
Il fuoco nei secoli, da strategia di battaglia a strumento del profitto
Bruciano Laconia e Messenia.
I Persiani non c'erano riusciti
Diedero alle fiamme Atene, ma non passarono mai l'itsmo di Corinto. I romani sparsero sale sulle rovine fumanti di Cartagine
A ogni estate si riscopre, con comprensibile angoscia, «l'emergenza incendi», e si cerca di presentarla — ogni volta daccapo — come calamità naturale sebbene sia un aspetto (e non dei più trascurabili) del «dio profitto» da ultimo molto rispettato non solo a destra ma anche a manca. Scoprire con stupore che lo stesso succede anche in Ispagna o in Grecia — ma forse anche a Giava — da un lato rasserena (dove tutti sono peccatori nessuno lo è), dall'altro aiuta a buttarla in poesia. Così il fatto che bruci un bel pezzo di Peloponneso — la Laconia e la Messenia in particolare — e che le fiamme abbiano rischiato di lambire Atene diventa un'eccellente occasione di commozione. «Primavere elleniche», «Ellade eterna» e così via. E di rievocazione. Più sincero il sempre gagliardo Carducci, il quale, in Sogno d'estate, ammise candidamente di essersi addormentato leggendo Omero, «tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sonanti».
Comunque, il fuoco nel Peloponneso è di per sé un evento. Non riuscirono ad appiccarlo lì nemmeno i Persiani, che, pur avendo massacrato i Trecento, come ormai tutti sanno, incendiarono Atene ma non passarono l’Istmo di Corinto. Quanto alla Messenia, in verità, a metterla a ferro e a fuoco provvidero gli Spartani stessi quando gli schiavi, «iloti», ammassati in Messenia, si ribellarono, e loro li strinsero d’assedio con una ferocia di cui solo quegli intrepidi guerrieri erano capaci. Dopo di che ci fu di tutto, compresa la «Guerra del Peloponneso» che però non fu quasi affatto combattuta nel Peloponneso. Trent’anni dopo in Laconia calarono i Tebani e l’antichissimo dominio regionale di Sparta s’infranse.
«Coventrizzare» Corinto, secoli dopo, fu cura dei civilizzatori romani, che peraltro si conquistarono in questo campo un discreto pedigree: da Numanzia a Cartagine. Su Cartagine fumante sparsero simbolicamente anche del sale. Insomma il fuoco fu di casa in Grecia nelle più diverse epoche e per le più diverse ragioni. Ora che finalmente viviamo in epoca di «democrazia» galoppante, al fuoco provvedono la speculazione edilizia e l’intreccio, oggetto di universale ancorché inerte deplorazione, tra mafia e affari, che è — ai quattro angoli del pianeta — una delle forme più aggiornate della «civiltà occidentale ». La quale, quando può, manda in fumo i musei di Bagdad. Ma nessuno li piange.
Luciano Canfora
26 agosto 2007
Dal sito del
Corriere della Sera