Nel fine settimana ho finito
Mi chiamo Roberta, ho 40 anni e guadagno 250 euro al mese, una raccolta di interviste a cura dello scrittore
Aldo Nove a persone di tutta le età, ma concentrate soprattutto nella fascia oltre i 30, accomunate dal dramma del precariato.
E' una lettura che fa molto riflettere e provoca una grande rabbia per la situazione spaventosa in cui viviamo oggi in Italia, paese dove il lavoro non esiste più, ma esistono solo l'arte di arrangiarsi, tanto, tanto, tanto sfruttamento e tanto, tanto mobbing.
Leggere di insegnanti che a 45 anni sono ancora precari; di avvocati che, a dieci anni dalla laurea, guadagnano 400 euro al mese e per vivere sono costretti a lavorare come camerieri nei weekend; di ragazze di 18 anni che fanno l'apprendistato da parrucchiera senza ricevere un centesimo e si sentono anche dire "a 18 anni non pretenderai mica uno stipendio"; di ragazzi di 24 anni anni che per riuscire a mettere insieme uno stipendio devono fare 4 lavori precari diversi, lavorando 18 ore al giorno; di operai specializzati di 52 anni che, dopo 35 anni di lavoro vengono licenziati perchè l'azienda chiude e non riescono più a trovare niente; di architetti 40enni che si vedono proporre dalle agenzie interinali contratti da 5 giorni, e tante altre storie del genere, fa stare davvero male
E fa nascere spontanea la domanda: che prospettive può avere un paese dove per gli imprenditori il lavoro, la preparazione, le abilità e le competenze delle persone non contano nulla e l'unica cosa che conta è spendere il meno possibile per il personale e per le tecnologie? Come può continuare a stare in piedi e a pretendere di far parte dei paesi più industrializzati e, soprattutto, di far parte dei paesi civili e democratici?
Che democrazia e che civiltà possono esserci in un paese dove il concetto di lavoro viene completamente svuotato di ogni significato e valore e sostituito da una parola, "flessibilità" che, in questo paese, non è altro che sinonimo di sfruttamento selvaggio?