Articolo e intervista a Thom Yorke - seconda parte
La vostra decisione ha scatenato un putiferio. Qual era il vostro scopo?
"Dimostrare che non c'è bisogno di tutte queste infrastrutture per far arrivare la musica alla gente. Il processo industriale serve solo a sottrarre guadagni agli artisti e a rendere il disco sempre più costoso. Un tempo l'industria lavorava per far conoscere i giovani artisti, oggi invece le major tendono a eliminare chi non ha un riscontro commerciale immediato. Poco importa il talento, gli artisti vengono continuamente mortificati, umiliati".
Prima si diceva: l'industria sta uccidendo la musica. Oggi la stessa accusa è rivolta ai Radiohead.
"Nessuno sarà mai in grado di uccidere la buona musica, che troverà sempre un canale, magari sotterraneo, per esprimersi. Ma certamente il lungo processo che precede la pubblicazione di un disco, la politica che ci gira intorno e l'ego di alcuni artisti non giovano alla riuscita - artistica ed economica - del prodotto. Per questo, dalla nostra posizione privilegiata, non ce la siamo sentita di confrontarci di nuovo con l'industria".
Non deve essere stato facile farlo per quindici anni e sei album.
"A essere del tutto onesto, con la Emi non abbiamo mai avuto grossi problemi. Ci hanno sempre lasciato ampia libertà. Il nostro non è un gesto contro le persone con cui abbiamo lavorato, ma contro un sistema di acquisti e fusioni che ha portato alla creazione di queste maledette multinazionali. E nessuno si è preoccupato di venirci a raccontare quel che è successo, come se la cosa non riguardasse anche noi. Non siamo fottute scatole di biscotti!".
Ora è tutto sulle vostre spalle, il peso della creatività e quello del marketing.
"Le sembrerà sacrilego, ma io il marketing lo trovo quasi affascinante. Le questioni pubblicitarie sono di per sé così odiose che cercare di risolverle in maniera creativa è una sfida per un artista. Se riesci a non farti mettere soggezione dalla parola - marketing, bruttissima - puoi fregartene delle loro regole, e il gioco diventa divertente. Tutte quelle piccole pazzie che si possono cucire intorno alle canzoni, come il testo di Paranoid android scritto su un gigantesco poster".
Coerenza e onestà, prima di tutto. È questo il motivo per cui ha detto di no a McCartney?
"Paul mi ha chiesto di suonare il piano in una delle sue canzoni, ma non sono in grado di farlo, io so solo strimpellare. È stata sua figlia Stella, che è una nostra fan, a insistere: "Dai papà, chiamalo..."".
Ha mai rimpianto di non essere un protagonista de periodo aureo del rock, fine anni 60 primi anni 70, quando l'industria tollerava l'incoscienza degli artisti pur di non limitarne la creatività?
"È un'idea romantica, affascinante, ma ognuno è figlio del suo tempo. Al contrario di tanti musicisti dell'epoca, che sono stati letteralmente frodati dalle case discografiche, noi siamo entrati nel music business in maniera consapevole. Per questo ci teniamo stretta la nostra musica e siamo arrivati a questo punto prima di altri".
(3 dicembre 2007)
Dal sito di
Repubblica