Domenica è arrivata e con lei il nostro appuntamento con la poesia!
Oggi vogliamo segnalare l’opera L’arbero ar centro de Roma mia (L’albero al centro di Roma mia) di Cristiano Torricella.
Una poesia che rimanda a tempi andati, a quando si era ragazzi e con un po’ di incoscienza si facevano azioni spericolate pur di scoprire nuovi punti di vista, nuovi orizzonti e diverse vedute che la propria città regala e permette di assaporare.
L’arbero ar centro de Roma mia
ar centro de Roma mia
vicino ar Colosseo
e puro all’arco de Tito
ce stava n’arbero granne
che bucava er cielo
come n’ dito,
e guardava dall’arto Roma
e parecchio se ne vantava.
Io su st’arbero artissimo,
regazzino,
me ce arampicavo,
incosciente come li regazzini
sempre più in arto me spignevo.
Scalator de le fronne verdi
da lassù la mejo Roma me guardavo;
e der pericolo de cascà de sotto
proprio gnente m’emportava;
e arivato finarmente n’cima
me pareva de dominà er monno
e da lassù me s’empiccinava
puro tutto er Coliseo.
Mo’ so granne,
lassù n’ce posso più salì,
io ancora ce salirei
ma si me vede er viggile
ma che ie vado a dì?
e quanno torno a Roma
e a Colle Oppio vado,
st’arbero,
che m’ariconosce,
spocchioso me sembra dì:
aò?
mbhè?
ch’aspetti?
ma che fai,
er vago?
ma che te sei scordato
come se fa a salì?
L’albero al centro di Roma mia
(traduzione in lingua italiana a cura di Cristiano Torricella)
al centro di Roma mia,
vicino al Colosseo,
ed anche all’arco di Tito,
c’era un grande albero,
che bucava il cielo,
come un dito,
e guardava dall’alto Roma,
e, parecchio,
se ne vantava.
Io su questo albero altissimo,
da ragazzino,
mi ci arrampicavo,
incosciente come sono tutti i ragazzini,
e sempre più in alto salivo.
Scalatore delle fronde verdi,
da lassù, la Roma più bella io vedevo;
e del pericolo di cadere giù, di sotto,
proprio nulla mi importava;
ed arrivato finalmente lassù in cima,
mi pareva di dominare il mondo
e, da lassù,
mi sembrava che si rimpicciolisse
persino l’enorme Colosseo.
Adesso che sono diventato adulto,
lassù non posso, di certo, più salirci,
io ancora ci salirei
ma se mi vede il vigile,
cosa gli racconto, poi?
e quando ritorno a Roma,
ed a Colle Oppio vado,
quest’albero,
che, sempre, mi riconosce,
spocchioso, sembra dirmi:
aò? mbhè? che aspetti?
ma che fai, il distratto?
ma che ti sei dimenticato,
di come si fa a salire?
Poesia tratta da Poesie in dialetto romanesco di fine ‘900 del Rione Monti di Roma di Cristiano Torricella, pagine 61 – 64
La maggior parte dei suoi testi teatrali ed ogni altra utile informazione sull’autore Cristiano Torricella le trovate qui: Cristiano Torricella