/ Gennaio 29, 2009/ Artisti, Blog, Il disco del mese/ 0 comments

Il disco del mese – Animals dei Pink Floyd (2/3)
Il disco del mese – Animals dei Pink Floyd (3/3)

Questo mese la scelta del disco da presentare è andata a un album a mio giudizio imprescindibile per chiunque ami il rock e la vera musica tout court: Animals dei Pink Floyd. Un lavoro che, pur avendo appena compiuto 32 anni, è di un’attualità, un’originalità, una compattezza e una forza musicale, ritmica e tematica tali, quali pochissimi altri lavori usciti da allora ad oggi possono vantare.

Il disco, decimo album studio della band di Cambridge, uscì nel gennaio 1977. Ma per comprenderne appieno il significato e la portata è necessario fare un passo indietro e ricordare due eventi di quegli anni.

– Quattro anni prima, nel 1973, i Pink Floyd avevano pubblicato il loro capolavoro The Dark Side of the Moon, che aveva dato loro fama planetaria e li aveva trasformati da gruppo conosciuto sì, ma relativamente di nicchia, in uno dei simboli per eccellenza del grande rock.
Ma la fama strepitosa si era quasi subito trasformata in un’arma a doppio taglio che, oltre a soldi e successo, aveva portato ai quattro musicisti non ancora trentenni e abituati a lavorare sulla ricerca e sulla sperimentazione musicale e tecnica in grande libertà di tempi e scelte organizzative, enormi pressioni della loro casa discografica perché producessero subito nuovi album. E queste pressioni avevano a loro volta fatto emergere problemi di rapporti interni e di leadership del gruppo, in particolare tra il bassista Roger Waters e il chitarrista David Gilmour.
Problemi che, se da una parte furono determinanti per le scelte tematiche e stilistiche dei nuovi lavori e – ciononostante o più probabilmente proprio per l’equilibrio, per quanto faticoso e precario che il gruppo riusciva a raggiungere – portarono alla realizzazione degli altri tre grandi capolavori dei Pink Floyd (Wish You Were Here, 1975; Animals, 1977; The Wall, 1979), dall’altro incrinarono talmente i rapporti tra i quattro artisti da portare, nel giro di un decennio, a una delle più clamorose, rumorose e avvelenate rotture che il mondo del rock, pure così abituato alle rotture di band, ricordi.

– Il 1976, anno precedente la pubblicazione di Animals, fu un anno molto particolare in Gran Bretagna, caratterizzato da una profonda crisi economica e sociale che, da una parte, portò alla ribalta movimenti politici di estrema destra e fece esplodere pesanti scontri razziali. Dall’altra, fece emergere gruppi di rivolta giovanile nichilista, gruppi che si scagliavano nel modo più iconoclasta contro il sistema sociale e politico dominante. E, ancora di più, contro il paludato e ristagnante, a loro giudizio, mondo musicale britannico, dominato dai “boring old farts”, i “vecchi scoreggioni noiosi” del rock.
Da questi gruppi nacque il punk, che voleva una musica diretta, dura, spontanea, proveniente dalla strada e priva di orpelli, compiacimenti e magniloquenze sonore, basata su pochi accordi e distorsioni suonati ad altissimo volume. Il bersaglio polemico del punk fu il rock, soprattutto il progressive. E il dinosauro dei dinosauri non poteva che essere il gruppo simbolo del rock perfezionista e delle atmosfere musicali complesse. Tanto che il cantante del più famoso gruppo punk, Johnny Rotten dei Sex Pistols, usava indossare una maglietta con la scritta “Odio i Pink Floyd”.

Fu in questo clima che i Pink Floyd decisero di tornare in studio per realizzare un nuovo lavoro, tra sempre più forti contrasti interni; sottoposti alle pressioni della casa discografica che dopo l’ulteriore successo di Wish You Were Here premeva per un nuovo album; sottoposti alle pressioni, alle attese e alle contestazioni della critica musicale che, dopo Dark Side of the Moon, li aspettava al varco per un passo falso e nel contempo li contestava aspramente per il rifiuto dei componenti della band di concedere interviste e di concedersi allo star system; contestati e rifiutati dal mondo giovanile di cui solo dieci anni prima, con il loro primo stupefacente album The Piper at the Gates of Dawn (1967) erano stati i portavoce e i rappresentanti d’avanguardia.

Le registrazioni durarono dieci mesi e il lavoro, un concept denso e compatto di aspra denuncia sociale, vide il netto predominio delle scelte tematiche, stilistiche e compositive di Roger Waters. Scelte che comportarono, a livello musicale, un rock duro e aggressivo che portò all’esclusione, per la prima volta nella storia del sound della band, dei tappeti sonori e delle atmosfere oniriche ed eteree create dalle tastiere di Richard Wright che in questo album, per la prima volta, non ebbe alcun ruolo compositivo. Anche se i suoi accordi jazz e il suo contributo furono assolutamente essenziali in fase di arrangiamento ed esecuzione e per la creazione di quegli effetti sonori fondamentali per l’atmosfera e il tono generale dell’album.

(continua)

Scritto da Vianne

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