/ Gennaio 11, 2009/ Artisti, Blog/ 2 comments

In ricordo di Fabrizio De André

Come accennato nell’articolo precedente, il brano scelto per ricordare Fabrizio De André è Creuza de ma. E’ una canzone in dialetto genovese che racconta la vita dei marinai, del loro eterno andare e venire, del loro viaggio e ritorno a terra dopo una notte trascorsa con questo amico calmo e burrascoso che non permette errori, che regala e riprende quello che produce – il pesce – con una velocità così rapida da non lasciare spazio agli errori. E’ facile che le reti si svuotino e che la pesca venga compromessa ma nonostante questo si ritorna sulla terra, si percorre questa strada dove si sentono gli odori e le voci di un popolo la cui vita non è facile ma che comunque resiste.

Creuza de mä Mulattiera di mare
   
Umbre de muri muri de mainé Ombre di facce facce di marinai
dunde ne vegni duve l’è ch’ané da dove venite dov’è che andate
da ‘n scitu duve a lûn-a a se da un posto dove la luna si
mustra nûa
mostra nuda
e a neutte a n’a puntou u cutellu a e la notte ci ha puntato il coltello alla
gua
gola
e a muntä l’àse gh’é restou Diu e a montare l’asino ci è rimasto Dio
u Diàu l’é in çë e u s’è gh’è faetu il diavolo è in cielo e ci si è fatto
u nìu
il nido
ne sciuntìmmu da u mä pe sciugà usciamo dal mare per asciugare
e ossa da u Dria
le ossa dall’Andrea
a a funtan-a di cumbi ‘nta cä alla fontana dei colombi e nella casa
de pria
di pietra
   
E ‘nt’a cä de pria chi ghe saià E nella casa di pietra chi ci sarà
int’a cä du Dria che u nu nella casa dell’Andrea che non è
l’è mainà
marinaio
gente de Lûgan facce da mandillä gente di Lugano facce da tagliaborse
qui de luassu prefescian l’ä quelli della spigola preferiscono l’ala
figge de famigga udù de bun ragazze di famiglia, odore di buono
che ti peu ammiàle senza u gundun che puoi guardarle senza preservativo
E a ’ste panse veue cose che daià E a queste pance vuote cosa gli darà
cose da beive, cose da mangiä cosa da bere, e cose da mangiare
frittûa de pigneu giancu de Purtufin frittura di pesciolini, bianco di Portofino,
cervelle de bae ‘nt’u meximu vin cervelle di agnello nello stesso vino,
lasagne da fiddià ai quattru tucchi lasagne da tagliare ai quattro sughi
paciûgu in aegruduse de lévre pasticcio in agrodolce di lepre
de cuppi
di tegole
   
E ‘nt’a barca du vin ghe navighiemu E nella barca del vino ci navigheremo
‘nsc’i scheuggi
sugli scogli
emigranti du rie cu’i cioi emigranti della risata con i chiodi
‘nt’i euggi
negli occhi
fincé u matin crescià da puéilu finché il mattino crescerà da poterlo
rechégge
raccogliere
frè di ganeuffeni e dè figge fratello dei garofani e delle ragazze
dacan d’a corda marsa d’aegua e padrone della corda marcia d’acqua e
de sä
di sale
che a ne liga a ne porta ‘nte ‘na che ci legà e ci porta in una
creuza de mä.
mulattiera di mare
   

La traduzione a fronte del testo è tratta dall’opuscolo presente nell’album. Ci sono due note da fare:

– Creuza: qui impropriamente tradotto mulattiera. In realtà la Creuza è nel genovesato una strada suburbana che scorre fra due muri che solitamente determinano i confini di proprietà.
– Lévr-e de cuppi: gatto.

Creuza de mä – Fabrizio De André
httpv://www.youtube.com/watch?v=Mq1wJcQlDZY

Scritto da Mac La Mente

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2 Comments

  1. Meraviglioso, si accumulano gli aggettivi a lui dedicati, il nostro vate genovese, vero poeta e vero uomo, imperfetto ma umano in tutte le sue espressioni, come il mare dona ma riprende quello che ha dato,anche la terra lo ha voluto a se, lascia l’odore delle sue parole , i nostri occhi sono pieni di gocce di mare eternamente sue, solo chi lo ama veramente e ha goduto delle sue musiche può capire l’immenso amore che determina la vera ammirazione per questo Dio della poesia e delle sue note musicali. Grazie per quello che ci hai donato, un eterno amore . Sono talmente vicino a te che nonostante io sia nato a Massa Carrara, mi sento Genovese , perchè sei riuscito a trasmettere le parti oscure ,più nascoste, umili, vere, che solo un genovese riesce a capire. Grazie Fabrizio.

  2. Fabrizio De André, un’ombra inquieta.
    Ritratto di un pensatore anarchico – Edizioni Il Margine

    Libro di Federico Premi
    Recensione di Laura Tussi

    Fabrizio De André ha sempre praticato consapevolmente l’esercizio del pensiero e la sua opera politica e musicale rappresenta una sapiente e radicale critica alla concezione borghese dell’esistenza.
    L’autore del libro, Federico Premi, avvalora questa ipotesi tramite l’analisi dei manoscritti inediti di De André, disponibili presso il centro studi Fabrizio de André dell’Università di Siena, dove appaiono ricorrenti i riferimenti alla tematica anarchica e alla critica della società borghese. “È tempo di tornare nomadi. Siamo stati sedentari per troppo tempo. Bisogna rimettersi in cammino”. Fabrizio De André continua a ripetere questo concetto nelle sue canzoni e nei moltissimi appunti manoscritti.
    La vita infatti è un continuo processo di metamorfosi, di cambiamento, di ricerca nella costante resistenziale e febbrile dell’erranza.
    Secondo De Andrè, l’anarchia, oltre che forma di autogoverno alternativa all’attuale sistema di potere, rappresenta il solo antidoto contro l’omologazione sociale e culturale, contro la pianificazione categorica e l’arbitrio imperante. Tra gli aspetti più inquietanti dell’immobilismo della società contemporanea è l’assuefazione universale alla logica capitalista. Il verbo del fondamentalismo capitalista si è imposto ovunque, operando una drastica reductio ad unum, un’inaudita uniformizzazione, pianificazione, normalizzazione del sistema e omologazione culturale. L’umanità dovrà attuare presto un nuovo sistema politico ed economico e una diversa e più virtuosa cultura del confronto e dello scambio, non più fondate esclusivamente sul torvo e bieco valore del profitto e del tornaconto, nella realizzazione di un’utopia sommessa e confessata in versi, all’interno di un discorso cifrato ed elusivo nelle canzoni di De André, che canta una critica serrata al mondo borghese del conformismo allineato. Infatti, borghese è, in ogni tempo, l’invincibile inerzia dello spirito, l’ossessione per l’agio e la stabilità, matrice di ogni idolatria, che costituisce il momento statico immortale dell’esistenza del singolo e della società. La morale borghese è mortifera, in quanto vuole bloccare il divenire, nella pretesa di uniformare, omologare, conformare e rendere tutti gli uomini simili fra loro, equivalenti, intercambiabili, perché il borghese si preoccupa di essere integrato, allineato e leale con il sistema. Un’autentica rivolta esistenziale consiste nel riconoscere il proprio stato di uomini colonizzati e allineati, per liberarsi dagli ingranaggi del sistema e divenire Anime Salve, riappropriandosi di se stessi e della propria vita in modo unico e originale. Il potere persuasivo di ogni sistema, fondato su valori fissi e indiscutibili, provoca paura e disorientamento per ogni diversità e alterità anarchica, opposta all’ingranaggio del quotidiano. Il borghese non sa riconoscere il proprio intimo essere, l’ “ombra inquieta” che si muove nelle pieghe dell’anima e della storia.
    Il Faber pensatore affronta dunque i temi della borghesia e dell’anarchia come categorie dello spirito, del potere e della costante resistenziale, tra morte, solitudine e natura, tra follia e diversità, per cui l’artista diviene anticorpo del sistema vigente e cantore di bellezza e utopia.
    Laura Tussi

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