/ Gennaio 2, 2009/ Artisti, Blog, La musica del tempo/ 1 comments

Pentagramma – Imagine di John Lennon (2/2)

Per iniziare il nuovo anno con un augurio e una nota di speranza ho scelto il testo di una delle più belle canzoni di tutti i tempi, la canzone simbolo per eccellenza del sogno di pace e di un mondo migliore: Imagine di John Lennon.
Perché in questo 2009, cominciato sotto il segno della recessione economica mondiale e dell’ennesimo rombo dei bombardamenti in Medio Oriente, avremo forse più bisogno che mai di poter almeno sognare che un mondo altro, un bel mondo sia possibile.

Imagine, scritta nel 1971, un anno dopo lo scioglimento dei Beatles, fu pubblicata nello splendido album omonimo Imagine, il secondo lavoro solista di John Lennon, uscito nello stesso anno e contenente tra gli altri, oltre alla title track, pezzi come Jealous Guy, Oh My Love, It’s So Hard, Gimme Some Truth e I Don’t Want To Be a Soldier.
Il brano riscosse immediato ed enorme successo e apparve subito anche come singolo negli Stati Uniti mentre, per una bizzarra forma di censura, in Gran Bretagna uscì, quale singolo, solo quattro anni dopo, nel 1975.

Da allora Imagine ha avuto un successo crescente e ininterrotto nel tempo, tanto da diventare la canzone che più di ogni altra rappresenta John Lennon e la canzone emblema, insieme a Give Peace a Chance – sempre di John Lennon – dei movimenti pacifisti in tutto il mondo.
Oltre naturalmente ad essere, trentasette anni dopo la sua pubblicazione, uno dei brani più conosciuti e amati da pubblico e critica, al punto che, nei tanti e vari sondaggi compiuti da radio e riviste specializzate tra la fine del XX secolo e i primi anni del XXI, è stata votata quasi sempre come la canzone più importante del Novecento. Nella classifica dei 500 brani più importanti di tutti i tempi pubblicata dalla rivista Rolling Stones nel 2004 è al terzo posto dopo Like a Rolling Stone di Bob Dylan e (I Can’t Get No) Satisfaction dei Rolling Stones.

Ma qual è il segreto del suo fascino?
Personalmente, credo sia la sua straordinaria capacità di raccontare, con un testo della più grande semplicità e immediatezza, e, cosa ancora più importante, senza banalizzare ne’ volgarizzare, uno dei miti umani più profondi e universali: il sogno di un mondo migliore, il sogno di quel paradiso perduto dove l’uomo possa vivere in pace con se stesso, col proprio prossimo e con l’ambiente e possa vivere e godere il presente senza rimpianti per il passato e senza rinunce per il futuro.
Un mondo dove non ci sia spazio per le ipocrite manipolazioni dei potenti e per le macchinazioni di chi, per brama di ricchezza e di potere, manda gli altri a uccidere e a morire.

John Lennon, che è stato ad un tempo creatore e figlio (e nel 1980 vittima) per eccellenza del sogno degli anni Sessanta, ha saputo richiamare e attualizzare questo mito, il mito dell’età dell’oro, in una splendida ballata che da’ voce alle eterne utopie dell’uomo attraverso il linguaggio del grande sogno degli anni Sessanta. Quel sogno di un cambiamento possibile in grado di sconfiggere violenza, autoritarismo, diseguaglianze, sfruttamento e ipocrisie che caratterizzano la società umana con la grande forza nonviolenta della pace, della cultura e dell’arte, dell’uguaglianza, dell’amore, e del rispetto.

Ma il successo del brano non nasce solo da un generica riattualizzazione del sogno dell’età dell’oro.
Nasce anche dalla concretezza di Lennon che con lievità e limpido candore tali da non disturbare neppure il più fervido credente – tanto che nel 1996 la canzone fu cantata davanti a Giovanni Paolo II come inno di pace -, ma nel contempo con la più grande chiarezza, indica gli elementi che, in quanto fonte di contrasto e divisione, ostacolano la realizzazione dell’utopia: l’ipocrisia e le menzogne delle religioni che, in nome di un futuro e inesistente aldilà, impediscono di vivere qui e ora e di apprezzare l’unica vita nell’unico mondo che abbiamo (Imagine there’s no heaven – “Immagina che non ci sia un paradiso“); le divisioni nazionali e gli imperialismi che, insieme alle divisioni religiose, mandano gli uomini a uccidere e morire (Imagine there’s no countries/ […]Nothing to kill or die for/And no religion too – “Immagina che non ci siano nazioni/[…]Niente per cui uccidere o morire/E neppure religioni“); l’avidità di potere e ricchezza che impedisce la fratellanza tra uomini e la pacifica condivisone del mondo (Imagine no possessions/[…]No need for greed or hunger – “Immagina che non ci sia alcun possesso/[…]Alcun bisogno di avidità o brama“).

E nel ritornello Lennon ci spinge alla speranza dicendoci che questo mondo diverso non è un’utopia. E’ un sogno, certo, ma se tutti lo sogneremo, un domani potrà diventare realtà.

Questo messaggio, potente e fantastico ad un tempo, è reso nel modo più efficace ed intenso grazie alla splendida semplicità e immediatezza del testo e della musica. Musica che, come il testo, è basata su una grande essenzialità di melodia e accordi e su delicati arpeggi e soli di pianoforte.
L’unione di musica e testo, perfettamente fusi e in perfetta corrispondenza reciproca, rende l’insieme efficace e bellissimo e ne fa una meravigliosa poesia che, di fatto, è una straordinaria preghiera umanistica rivolta alle corde più profonde dell’umanità di ognuno di noi.

(continua)

Scritto e tradotto da Vianne

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1 Comment

  1. Non è certo un caso se Imagine è stata selezionata come canzone simbolo del XX secolo…in ogni caso per me il capolavoro dei Beatles resta Twist & Shout!

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