Esordio cinematografico di spessore il primo, e spero non ultimo, lavoro dello scrittore Alessandro Baricco intitolato Lezione Ventuno, presentato durante il Festival del cinema di Roma quest’anno.
Proiettato nelle sale a partire dalla seconda metà di ottobre e per la durata di circa un’ora e mezzo, il film si contraddistingue per una presenza massiccia di figure e personaggi, ognuno con la sua unicità e con i suoi pensieri.
La storia vede come protagonista principale il Professore Mondrian Kilroy e la sua adorata, quanto bizzarra, e discussa Lezione 21. E’ lui a chiamarla in questo modo e sono proprio gli studenti, fondamentalmente, a volerla ricordare.
E’ Martha, la studentessa prediletta del professore, che decide di raccogliere le testimonianze per raccontare la lezione a tutti coloro che non potranno assistervi perchè il professore è andato in pensione.
Ma in cosa consiste questa famosa Lezione 21? In questa lezione il professore continuava a smontare e criticare la Nona Sinfonia di Beethoven, una delle ultime opere scritte dal grande maestro ormai sulla via declino, stanco, invecchiato e poco considerato in quella Vienna che, così come gli aveva dato i natali e il successo, così lo stava dimenticando. In particolare il professore si soffermava sulla parte denominata Inno alla gioia che, secondo lui, era tutto e il contrario di tutto. E per questo non poteva essere considerato il capolavoro di Beethoven.
Il film comincia con la voce di Martha che racconta le origini della storia. Siamo nel mese di maggio del 1824, quando per la prima volta Beethoven esegue in pubblico la sua sinfonia. Con un salto cronologico Martha passa poi a raccontare un evento accaduto nell’inverno di quello stesso anno, il ritrovamento vicino al lago del cadavere congelato di un violinista. Il corpo inerte aveva tra la mani e stringeva così forte il suo violino che fu impossibile recuperare lo strumento tanto che venne seppellito con lui.
E da qui parte la storia che viene presentata da uno dei personaggi principali, il violinista. Egli incontra un gruppo di persone che non credono alla grandezza dell’opera di Beethoven e la mettono in discussione. Ognuna di queste persone rappresenta – e questo lo si capisce verso la fine – un elemento che fa parte della Nona Sinfonia: una ragazza è maestro del fuoco, un anziano del ghiaccio, c’è chi venera il vento, chi è padrone dell’equilibrio ecc. Queste figure messe insieme dovrebbero rappresentare l’interno Inno, la totalità degli elementi che Beethoven ha cercato di raggruppare insieme. Il violinista parla e interagisce con loro fino a quando, alla fine dei suoi giorni, si presenterà dinnanzi a lui una figura femminile che avrà compiuto 54 passi – tanti quanti quelli, credo, nella Sinfonia.
Le storie dei vari personaggi sono diverse e pur essendo credibili e avendo motivazioni giustificate, non riescono a far cambiare idea al violinista: per lui la Nona Sinfonia è il massimo, l’opera migliore scritta dal maestro, una composizione che lancia un messaggio di fratellanza ed amore e di unione con Dio.
Nel corso della storia del violinista, di tanto in tanto, compaiono altri personaggi che indossano parrucche gigantesche, nobildonne con abiti sgargianti, musicisti con abiti dell’epoca di Beethoven. Tutti loro compaiono e scompaiono inaspettatamente durante il film, come fantasmi, e lasciano la loro testimonianza su come in realtà fu il concerto del maggio 1824, su quante persone erano davvero presenti, sulle paure e stati d’animo che Beethoven provò durante l’esibizione.
Tutto questo durante una sola lezione del professore? Sì, lezione che in realtà non finiva mai e che lo stesso Mondrian Kilroy lasciava in sospeso, anche se il viaggio che faceva fare ai suoi alunni era talmente bello e vero che risultava difficile da dimenticare.
La fine arriva dopo anni dopo, quando Martha va a trovarlo nel luogo in cui egli vive, una sala da boowling abbandonata. E quando i due si ritrovano uno di fronte all’altra, il professore arriva finalmente alla conclusione della lezione: la Nona Sinfonia è stata scritta da un uomo vecchio ed è per questo che non è il capolavoro di Beethoven, perchè i tempi ormai erano cambiati, avrebbe potuto andar bene decenni prima, quando il maestro aveva tutte le sue capacità intatte. Beethoven sapeva che non era adatta ai tempi e cercò, scrivendo altre opere minori, di recuperare e trasmettere quella gioia, purezza e felicità che emanavano le sue opere migliori.
Il film di Baricco è un capolavoro perchè, nonostante possa sembrare senza trama o sconclusionato a causa dei troppi personaggi e figure presenti, si svela solo alla fine, tiene lo spettatore con il fiato sospeso fino all’ultima scena, quando tutto si chiarisce. Durante la visione ho pensato: ma cosa si è “fumato” Baricco per scrivere una sceneggiatura di questo tipo? La risposta è niente perchè Lezione Ventuno, a ben pensarci, è un libro trasposto direttamente sullo schermo. I personaggi sono vari e diversi, appaiono e scompaiono come se si girasse pagina ad ogni loro nuova apparizione.
La differenza è che al contrario del libro non si può tornare indietro per rileggere e capire e questo può provocare un senso di smarrimento durante la visione.
Ottima la fotografia e l’ambientazione, le montagne del Trentino innevate, che rasserenano con il loro bianco quasi accecante.
Dati del film:
Regia: Alessandro Baricco
Interpreti: Noah Taylor, Clive Russell, Leonor Watling, John Hurt, Tim Barlow.
Genere: Drammatico.
Nazionalità e anno: Italia – 2008
Durata: 98 minuti.
Scritto da Mac La Mente
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