Alla ricerca delle radici (1990 – 1998)
Gli anni ’90, iniziati con la caduta del Muro di Berlino e la successiva implosione dell’Unione Sovietica, vedono Michalkov attivamente impegnato sul fronte politico su posizioni fortemente nazionaliste. Posizioni che in qualche modo, sublimate dalla sua poetica elegiaca e filtrate da una lirica estetica del paesaggio, si riverberano anche sulla sua produzione cinematografica di quegli anni. Nei film di questo decennio il regista si volge al passato e alla natura del suo paese, di cui racconta alcuni momenti topici e che mostra nella grandiosità dei suoi paesaggi. Continuando il suo ideale viaggio sentimentale iniziato negli anni ’70 e ora dedicato alla ricerca delle radici della “grande madre Russia”.
Dopo il grande successo di Oci ciornie la Fiat assegnò a Michalkov la realizzazione di un film pubblicitario per il lancio della Tempra. Quello che avrebbe potuto essere uno stucchevole spot, nella mani di Michalkov divenne invece la storia quasi fiabesca di un viaggio nella sconfinata natura russa, il mediometraggio on the road L’autostop – Elegia russa (Avtostop, 1990) .
Ambientato nello stesso anno di uscita, racconta di un uomo che, dopo aver attraversato l’Europa su un Fiat Tempra, arriva in Russia. Qui da’ un passaggio a un’autostoppista, una donna incinta che deve andare in ospedale a partorire. Durante il viaggio i due sono seguiti in moto dal marito della donna e lo spot si trasforma nella storia del rapporto tra le 3 persone, la loro corsa contro il tempo per arrivare in ospedale e l’immensa profondità delle grandi foreste innevate russe che stanno attraversando. La corsa non riesce e, nella notte piena di neve, i due uomini dovranno improvvisarsi ginecologi per aiutare la donna a partorire. Dimostrando così che la macchina della Fiat è adatta, oltre che ai lunghi viaggi, anche a far nascere bambini.
Anche il film successivo è una sorta di viaggio esotico e fiabesco in un mondo dove la vera protagonista è la natura e dove uomini e donne, anche quando parlano lingue diverse e provengono da civiltà e tradizioni diverse, sanno capirsi e sanno come aiutarsi l’un l’altro. Girato interamente in Mongolia e coprodotto da Francia e Unione Sovietica, Urga – Territorio d’amore (Urga, 1991) è prima di tutto una splendida dichiarazione d’amore alla steppa e alle tradizioni millenarie dei suoi abitanti. E poi una dolente constatazione che natura e tradizioni stanno scomparendo, inghiottite da strade e ciminiere e da una modernizzazione che non significa solo miglioramento.
Ambientato negli anni ’70 nella Mongolia cinese, racconta la storia di un pastore che vive con la moglie, i tre figli e la nonna in una tenda nella steppa, in armonia con la natura e seguendo le abitudini, le tradizioni e i ritmi millenari della sua gente. L’unico segnale di modernità è l’eco della rigida politica demografica cinese che rende difficili i rapporti del pastore con la moglie per paura di nuove e vietate gravidanze. Un giorno il pastore aiuta e ospita un camionista in panne, un russo che lavora per un’impresa che sta costruendo una strada nella steppa. Nonostante le profonde differenze, i due uomini si capiscono e il russo, per dimostrare riconoscenza al suo nuovo amico, gli propone di aiutarlo a risolvere i suoi problemi con la moglie accompagnandolo in città a comprare dei miracolosi ritrovati contro le gravidanze inattese, dei profilattici. Che però il pastore, arrivato in città, si vergognerà di comprare e acquisterà invece un televisore.
Il film vinse il Leone d’oro a Venezia e il Premio dell’Accademia Cinematografica Europea per la miglior regia, oltre ad ottenere la nominatione per l’Oscar come miglior film straniero.
Urga fu l’ultimo film sovietico di Michalkov. Nel 1991 cessò di esistere l’Unione Sovietica e questo evento, oltre a cambiare radicalmente il volto geopolitico dell’Europa e del mondo, segnò un imprescindibile punto di svolta per la cultura del paese. Se, con l’unica significativa eccezione di La parentela, il regista aveva cercato nella letteratura e nella profondità della natura una risposta psicologica, romantica e nostagica alla profondissima crisi morale e d’identità, prima ancora che politica, che da almeno un decennio scuoteva l’URSS, dopo il cataclisma del ’91 cercherà le risposte nell’unico luogo dove sa di poterla trovare: in un viaggio a ritroso nella storia del suo paese.
Il primo film post-sovietico di Michalkov fu un particolare e interessante esperimento, un film-documentario bello e originale dove il regista, a partire da un particolare punto di vista familiare e privato, osserva e racconta l’ultimo decennio dell’URSS.
Anna 6 – 18 (Anna ot 6 do 18, 1993 ) è una lunga intervista, realizzata nel corso di 12 anni, dal 1980 al 1991, alla figlia Anna. Ogni anno, da quando Anna aveva 6 anni fino a quando ne avrà 17, il regista le rivolge le stesse domando sui suoi desideri e paure, su cosa ama e cosa detesta. E, attraverso le sue risposte, ci mostra non solo le trasformazioni della bambina che cresce e diventa giovane donna, ma anche le trasformazioni che stanno scuotendo il paese e che, inevitabilmente, si riflettono sulle coscienze delle persone. Il film, che ha solo 3 personaggi – Michalkov, la moglie Nadežda e la figlia Anna – è intervallato da scene di vita familiare, da scene di film del regista e da significativi spezzoni di documentari e telegiornali degli anni ’80 a mostrare che cosa accadeva in URSS, mentre la voce narrante di Michalkov commenta, racconta quegli anni e ricorda la storia della sua famiglia e del suo paese.
L’anno seguente uscì Sole ingannatore (Utomlennye solncem, 1994) il film più politico e più drammatico di Michalkov, un viaggio negli anni più bui della storia sovietica: gli anni delle grandi purghe staliniane che, alla vigilia della seconda guerra mondiale, decimarono, sulla base di accuse totalmente inventate e inconsistenti, l’intera generazione di militari, politici e intellettuali – oltre a decine e decine di migliaia di comuni cittadini – che avevano fatto la Rivoluzione d’Ottobre.
Il film, una coproduzione franco-russa, è dedicato “a tutti coloro che sono stati bruciati dal sole dalla rivoluzione” e il regista, quasi a voler sottolineare l’importanza che il tema e il film rivestono per lui, per la prima volta sceglie di interpretare non un ruolo secondario ma quello del protagonista.
Ambientato nell’estate del 1936 nella casa di campagna di un colonnello dell’Armata Rossa, uomo autorevole e amato, uno di coloro che hanno fatto la Rivoluzione e crede fermamente nella possibilità di costruire un paese nuovo e migliore, il film, nella prima parte, racconta la tranquilla vita di villeggiatura della famiglia del colonello e dei suoi amici. Un delizioso e idilliaco quadretto di vita domestica immersa nello splendido paesaggio di boschi di betulle e praterie, durante una languida estate apparentemente fuori dal tempo e dalla storia. Ma il tono del film comincia lentamente a cambiare con l’arrivo improvviso di un caro amico del colonello. Amico che, in realtà tale non è. L’uomo infatti fa parte della polizia politica segreta staliniana e non è arrivato per una visita di piacere ma per arrestare il colonello accusato da Stalin di “alto tradimento”. E lentamente la storia e la violenza degli anni più tragici della dittatura subentrano al clima di idillio, fino a travolgerlo completamente nel drammatico finale.
Il film vinse tre premi:
– l’Oscar come miglior film straniero nel 1995
– ill Gran Premio della Giuria al festival di Cannes
– il Premio della Giuria Ecumenica al festival di Cannes
Dopo la drammatica incursione nel periodo più nero della storia russa, Michalkov prosegue il suo viaggio storico e geografico alla ricerca di radici e di risposte. Risposte che sembra trovare in una nostalgica e spettacolare rievocazione di quella che lui ritiene essere una sorta di “età dell’oro della Russia”, la Russia dei tempi dello zar Alessandro III.
Zar non a caso interpretato in un cameo dallo stesso regista nel suo film scenograficamente più ambizioso e costoso, Il barbiere di Siberia (Sibirskij cirjul’nik, 1998) un colossal di 3 ore, coprodotto da Russia, Francia, Italia e Repubblica Ceca, e interpretato tra gli altri da due star hollywoodiane, Richard Harris in un ruolo secondario e Julia Ormond nei panni della protagonista.
Ambientato a Mosca e in Siberia nel 1885, racconta la storia d’amore tra un cadetto dell’esercito zarista e un’avventuriera americana. La ragazza, arrivata a Mosca sotto le mentite spoglie di figlia di un inventore americano, ha in realtà il compito di sedurre un generale affinchè firmi il contratto di acquisto della bizzarra invenzione del suo supposto padre, una specie di gigantesca sega a vapore per tagliare alberi, detta appunto “il barbiere di Siberia”.
Sullo sfondo di una Mosca – insieme all”anima russa”, vera e assoluta protagonista del film – scintillante di neve, balli, feste, case di lusso, grandi bevute, duelli e grandi scazzottate, si consuma l’amore impossibile delle coppia. Impossibile perchè il generale si innamora dell’americana e la corteggia apertamente, suscitando la gelosia del cadetto che, ubriaco, lo aggredisce e per questo viene arrestato e condannato ai lavori forzati in Siberia. Vent’anni dopo…
Il film, nonostante l’enorme budget a disposizione e la sua sontuosa ricchezza, è stato molto contestato dalla critica e molti lo considerano l’opera meno riuscita di Michalkov, che forse non ha colpito nel segno perchè ha messo troppo. Troppa ricchezza, troppa favola, troppi paesaggi, troppe scene di massa, insomma, troppa magniloquenza e grandiosità hollywoodiana perchè un film europeo potesse riuscire veramente.
Dopo questo colossal non usciranno altre opere del regista per ben nove anni, fino al 2007, quando Michalkov torna sugll schermi col suo 12 (vedi nostra recensione), acclamatissimo da critica e pubblico e che, presentato al Festival di Venezia, gli vale il Leone speciale alla carriera.
Ma in tutti questi anni il regista non è stato fermo. Ha lavorato come attore, ha prodotto film di giovani registi e, soprattutto, ha lavorato e sta lavorando da tempo a quello che, stando alle sue dichiarazioni, sembrerebbe essere il suo film più impegnativo e ambizioso, Sole ingannatore 2, attualmente in fase di post produzione e che dovrebbe uscire alla fine di quest’anno o nel 2009.
A quanto si sa, si tratterà di un film di guerra, ambientato in Russia tra il 1941 e il 1943 e, dalle interviste rilasciate da Michalkov, vorrebbe essere una sorta di risposta russa a Salvate il soldato Ryan di Spielberg.
Profilo di Nikita Michalkov (1/3)
Profilo di Nikita Michalkov (2/3)
Scritto da Vianne